I Dolci nel Medioevo
l termine “dessert” proviene dal
francese antico desservir, che significava “sparecchiare la tavola”
o letteralmente il contrario di servire, ed è entrato in uso proprio
durante il medioevo. In quest'epoca i cibi facilmente digeribili dovevano essere consumati per primi, seguiti gradualmente dai piatti più pesanti. Prima del pasto, lo stomaco andava di preferenza aperto con un aperitivo(dal latino aperio, "aprire") che doveva di preferenza essere di natura calda e secca: confetti di spezie come zenzero, carvi e semi di anice, finocchio o cumino glassati con zucchero o miele accompagnati da bevande composte di vino addolcito e corretto con latte. Lo stomaco, così come veniva "aperto", doveva essere "chiuso" alla fine del pasto con l'aiuto di un digestivo di solito un confetto, servito con "ippocrasso", un vino caldo speziato, e pezzi di formaggio
stagionato, mentre nel tardo medioevo aveva iniziato ad includere
frutta fresca ricoperta di zucchero, miele o sciroppi con dolcetti a
base di frutta cotta.
Esisteva nel medioevo un’ampia varietà di frittelle, crêpes zuccherate, budini, tortine e paste di sfoglia che talvolta potevano contenere della frutta, ma anche midollo o pesce. Nei paesi germanofoni erano particolarmente amati i krapfen, che venivano anch’essi farciti in vari modi. In Italia e nel sud della Francia era molto diffuso il marzapane che si ritiene sia stato introdotto dagli arabi. I libri di cucina anglo-normanni sono pieni di ricette per preparare budini dolci e salati, minestre, salse e torte con fragole, ciliegie, mele e prugne. I cuochi inglesi avevano un debole per l’impiego di petali di fiori come rose, violette e sambuco. Una prima versione della quiche si può trovare nel Forme of Cury, un ricettario del XIV secolo dove viene chiamata Torte de Bry ed ha una farcitura di formaggio e tuorlo d’uovo.
Nel nord della Francia si consumava un vasto assortimento di cialde e wafer, mangiati con formaggio e hypocras oppure un malvasia dolce come issue de table (piatto preso prima di lasciare la tavola). L’onnipresente zenzero candito, il coriandolo, l’anice e altre spezie venivano definite épices de chambre (spezie da salotto) e venivano consumate come digestivi alla fine del pasto per “chiudere lo stomaco”. I conquistatori arabi della Sicilia introdussero sull’isola una certa varietà di nuovi dolci e dessert che finirono per diffondersi in tutta Europa. Così come Montpellier, la Sicilia un tempo fu celebre per i suoi confetti e per il suo torrone. Dal sud del Mediterraneo gli arabi portarono anche l’arte di preparare il gelato che si tradusse nella nascita del sorbetto e altri dolci come la cassata siciliana (che deve il nome all’arabo qas’ah, il termine che designava la ciotola di terracotta in cui veniva modellata) fatta di marzapane, pan di Spagna e ricotta dolce, e i cannoli alla siciliana (in origine cappelli di turchi) fritti, tubi di pasta dolce e fritta riempiti di ricotta zuccherata.
Ricettari giunti fino a noi mostrano come nel tardo Medioevo l' arte culinaria ebbe uno sviluppo significativo. Nuove tecniche, come appunto l'uso della pasta frolla e la chiarificazione della gelatina per mezzo dell'albume d'uovo iniziarono a farsi strada verso la fine del XIV secolo e nello stesso periodo le ricette iniziarono a comprendere istruzioni dettagliate per l'esecuzione invece di essere semplici elenchi di ingredienti che servivano solo come aiuto mnemonico per cuochi già esperti.
Esisteva nel medioevo un’ampia varietà di frittelle, crêpes zuccherate, budini, tortine e paste di sfoglia che talvolta potevano contenere della frutta, ma anche midollo o pesce. Nei paesi germanofoni erano particolarmente amati i krapfen, che venivano anch’essi farciti in vari modi. In Italia e nel sud della Francia era molto diffuso il marzapane che si ritiene sia stato introdotto dagli arabi. I libri di cucina anglo-normanni sono pieni di ricette per preparare budini dolci e salati, minestre, salse e torte con fragole, ciliegie, mele e prugne. I cuochi inglesi avevano un debole per l’impiego di petali di fiori come rose, violette e sambuco. Una prima versione della quiche si può trovare nel Forme of Cury, un ricettario del XIV secolo dove viene chiamata Torte de Bry ed ha una farcitura di formaggio e tuorlo d’uovo.
Nel nord della Francia si consumava un vasto assortimento di cialde e wafer, mangiati con formaggio e hypocras oppure un malvasia dolce come issue de table (piatto preso prima di lasciare la tavola). L’onnipresente zenzero candito, il coriandolo, l’anice e altre spezie venivano definite épices de chambre (spezie da salotto) e venivano consumate come digestivi alla fine del pasto per “chiudere lo stomaco”. I conquistatori arabi della Sicilia introdussero sull’isola una certa varietà di nuovi dolci e dessert che finirono per diffondersi in tutta Europa. Così come Montpellier, la Sicilia un tempo fu celebre per i suoi confetti e per il suo torrone. Dal sud del Mediterraneo gli arabi portarono anche l’arte di preparare il gelato che si tradusse nella nascita del sorbetto e altri dolci come la cassata siciliana (che deve il nome all’arabo qas’ah, il termine che designava la ciotola di terracotta in cui veniva modellata) fatta di marzapane, pan di Spagna e ricotta dolce, e i cannoli alla siciliana (in origine cappelli di turchi) fritti, tubi di pasta dolce e fritta riempiti di ricotta zuccherata.
Ricettari giunti fino a noi mostrano come nel tardo Medioevo l' arte culinaria ebbe uno sviluppo significativo. Nuove tecniche, come appunto l'uso della pasta frolla e la chiarificazione della gelatina per mezzo dell'albume d'uovo iniziarono a farsi strada verso la fine del XIV secolo e nello stesso periodo le ricette iniziarono a comprendere istruzioni dettagliate per l'esecuzione invece di essere semplici elenchi di ingredienti che servivano solo come aiuto mnemonico per cuochi già esperti.
Da: Araldo, angoli medioevali.
http://www.cucinafilm.it/araldo/app_dolci.html
L’arte
culinaria dell'Italia Settentrionale del XII secolo
La cucina è specchio della società.
Nei sec. XIII e XIV compaiono i primi
libri di cucina.
Le fonti antecedenti sono scarse. Il
documento più antico è un menu del XII sec. riferito alla realtà
di Milano: si tratta della lista delle portate di un pranzo offerto
dai monaci di un monastero milanese ai canonici della chiesa di San
Satiro. Il pranzo è costituito da nove piatti, suddivisi in tre
portate, pressoché tutti a base di carne (simbologia religiosa del
numero tre nella religione cristiana). È un menu costruito “per
accumulo” in cui la varietà delle carni e delle preparazioni ha il
fine di soddisfare tutti i gusti. Il menù ci è pervenuto solo
perché i canonici, insoddisfatti dell’ospitalità ricevuta, fecero
causa al monastero e il testo è riportato nella sentenza conclusiva
della controversia.
La carne è la protagonista
principale della cucina medioevale (diversamente da quanto accadeva
in epoca romana in cui era il pane ad essere prevalente) perché i
trattati di dietetica medioevale, influenzati dalle consuetudini
alimentari del mondo germanico, sostengono che è la carne l’alimento
che nutre di più.
La carne è un elemento importante
nell’alimentazione di tutte le classi sociali ed è presente anche
sulle tavole contadine, grazie alla pratica dell’allevamento e
della pastorizia.
Ma la carne è anche un segno del
prestigio sociale e questo aspetto, col passare del tempo, acquista
sempre più importanza. La carne, infatti, diminuisce sulle tavole
povere nel momento in cui viene precluso ai contadini l’uso dei
boschi che diventano riserve signorili.
Sulle tavole povere prevale il maiale
nelle diverse preparazioni degli insaccati. Sulle tavole dei ricchi,
invece, la carne, proveniente dalle attività di caccia, è fresca e
varia.
Come si cucinava la carne?
Sostanzialmente secondo tutte le modalità in uso ancora oggi, ma con
una distinzione fondamentale: i bolliti sono tipici della cucina
povera perché consentono di utilizzare tutto quello che la
preparazione può dare, compreso il brodo, e richiedono una cottura
lenta, che si svolge in casa ed è affidata alle donne; mentre gli
arrosti sono una prerogativa delle tavole dei signori, rimandano
all’idea di pratiche maschili legate al mondo della caccia (legna,
fuoco, spiedo, aria aperta).
La carne
è accompagnata dalle salse. Sono salse magre,
a base di erbe, spezie, aceto, vino, agrumi; questi ultimi
ingredienti costituiscono una base acida. Le spezie sono
prerogativa della cucina ricca, ma non è vero che servissero a
coprire il sapore della carne avariata in quanto, come si è visto,
sulle tavole dei signori la carne era sempre disponibile, fresca e
varia. Le spezie sono amate dai ricchi signori perché sono costose,
danno prestigio, vengono da lontano (addirittura dai luoghi che nella
geografia fantastica medioevale si pensava fossero la sede del
paradiso terrestre). Sono dunque uno “status symbol” dell’epoca.
Le salse contadine invece sono a base
di erbe (come la nostra salsa verde, ma senza olio).
Tratto centrale del gusto medioevale è
la complessità, cioè la tendenza a mettere insieme sapori diversi:
“una cucina sintetica” che tende all’agro/dolce/piccante (come
la mostarda cremonese che può essere considerata un “fossile”
della cucina medioevale).
Perché questa tendenza a mischiare?
Perché i sapori rappresentano le qualità dei cibi che, nella loro
diversità, contribuiscono a comporre l’armonia della natura.
L’intento è dunque quello di ricreare tale armonia anche nelle
preparazioni gastronomiche (è lo stesso principio su cui si fonda
ancora oggi la cucina cinese, che si ispira all’equilibrio degli
elementi Yin e Yang).
Per quanto riguarda i formaggi,
a partire dal XII sec. cominciano a comparire prodotti di qualità
per la cui preparazione viene utilizzato il latte vaccino, mentre
nell’alto Medioevo il latte utilizzato era quello di pecora. Il più
importante è il parmigiano, altrimenti detto lodigiano o piacentino
a seconda dei luoghi di produzione. Fino al XII sec. viene consumato
grattugiato sulla pasta condita con burro, cannella e zucchero (la
prima ricetta di pasta al pomodoro è dell’800). La pasta
(cibo di magro) è pasta fresca in area padana, mentre è secca nel
Meridione (già nel XII sec. a Palermo è documentata l’esistenza
di una produzione industriale).
Tipico alimento della cucina medioevale
sono le torte che possono essere ripiene di carni, verdure o
formaggi. Si può anzi affermare che la torta sia una vera e propria
“invenzione” culinaria di questo periodo. Essa è presente in
tutta Europa, soprattutto in Italia e ancor di più nell’Italia
settentrionale. La diffusione dell’uso delle torte si spiega con la
presenza nelle città di forni pubblici di uso comune: la
torta è una soluzione pratica e comoda da trasportare, sia da cruda,
sia una volta cotta.
Se consideriamo la cultura della pasta
unita alla cultura delle torte, ci spieghiamo come sia nata la
cultura dei tortelli, cioè delle paste ripiene (un trattato di
cucina medioevale ne attribuisce l’invenzione a una contadina
padana).
Il pane, nel Medioevo, non è un
alimento così scontato come lo è per noi. Il pane bianco è
consumato solo nelle città, più precisamente nei monasteri e nelle
case signorili. In campagna il pane si produce con segale, miglio e
panìco (simile al miglio); quest’ultimo viene preparato anche
sotto forma di polenta (il mais non esiste ancora in Europa, in
quanto è una pianta originaria del continente americano). In
campagna si consumano comunemente zuppe d’orzo e di farro oltre che
minestre d’avena. Questi, che oggi sono considerati cereali minori,
cioè meno pregiati del frumento, in realtà non sono di qualità
inferiore e non sono assolutamente sgradevoli sotto il profilo del
gusto. È stata l’ideologia dominante che li ha svalutati per
marcare le differenze sociali.
Secondo Bonvesin de la Riva, i
contadini lombardi mangiano panìco, castagne e fagioli, non i
fagioli originari dell’America, ma i fagioli cosiddetti
“dall’occhio”, una varietà di origine mediterranea.
Esiste nel Medioevo una cucina locale?
Sì, a livello contadino, perché a base di prodotti locali. No, se
ci si sposta in città. Una delle caratteristiche della cucina
medioevale è quella di non apprezzare le cucine locali, in quanto
identificate con la cucina contadina e quindi povera. L’idea della
cucina del territorio è un’idea molto recente. Nel Medioevo
mangiare i prodotti del territorio è una cosa da “villani” cioè
da contadini. Dunque la cucina “alta” è una cucina
“internazionale”, un po’ come quella che noi oggi chiamiamo
“fusion”.
Il più antico ricettario che ci è
pervenuto risale al XIV secolo. Se si confrontano i libri di ricette
di quel periodo, ci si rende conto che ricorrono invariabilmente gli
stessi piatti e le stesse preparazioni, a dimostrazione del fatto che
siamo di fronte a una cultura culinaria diffusa internazionalmente.
Come più sopra già affermato, la
cucina medioevale sottolinea le differenze sociali.
Per il periodo considerato si deve
dunque parlare di cucine cittadine e non regionali. La città
assorbe, riassume ed esalta i valori culturali gastronomici del
territorio. Ne è una prova il fatto che il prodotto rurale, ad
esempio il formaggio prodotto nel contado di Parma, prende il nome
dalla città che è dominante su quel territorio. In questo modo la
città si rappresenta come il centro e il mercato del suo territorio.
Prof. Massimo Montanari (Università di
Bologna)
(Appunti della lezione tenuta a Lodi il
15 novembre 2008)
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