lunedì 14 gennaio 2013

Accenni sulla cucina Rinascimentale

Le fonti per comprendere le abitudini alimentari del Rinascimento si possono attingere dalla fiorente “letteratura di cucina” per le classi nobili, e dagli Statuti delle città per la borghesia e i contadini.
L’arte del cucinare toccò in Italia vette senza pari in Europa, con pratiche e piatti che restarono però d’ispirazione medievale, con il perpetuarsi del gusto dolce e salato mischiati assieme, e presentati  teatralmente.
Gli addetti al servizio della tavola erano dei professionisti, e nella gerarchia il cuoco (spesso di umili origini), veniva dopo il trinciante, il bottigliere, lo scalco, cariche rivestite di solito da persone di estrazione sociale elevata. Il cuoco doveva realizzare al meglio le ricette che gli venivano ordinate, conformandosi ai gusti del padrone o dei suoi ospiti illustri, ed alla regola che privilegiava tutto ciò che era raro e costoso, in nome del fasto e del lusso che contraddistinguevano la tavola di un uomo superiore. Per gli allestimenti dei banchetti ci si avvaleva della collaborazione di artisti e artigiani tra i più noti dell'epoca, che trasformavano il pasto in una vera e propria messinscena teatrale.
Anche in questo periodo la gastronomia fu soggetta alle stesse prescrizioni religiose del Medioevo, e perciò obbligata all'alternanza dei giorni di grasso e di magro. Lo sviluppo di una cucina "magra", ricca ed elaborata, divenne perciò una sezione importantissima dell’arte culinaria del cinquecento.
Del passato restò l'abbondante uso delle spezie, anche se sensibilmente attenuato, ma leggendo i testi di cucina dell’epoca si può dire che il gusto dominante fosse quello dolce. Infatti, lo zucchero, ingrediente di distinzione sociale per la corte, opportunamente elaborato portò all’invenzione della “moderna” pasticceria e della confetteria: l’arte delle marmellate e dei dolciumi d’ogni tipo.
Se uno dei tratti sorprendenti della cucina medioevale era l’uso assai parco di latte e latticini, fu con il Rinascimento che il burro divenne finalmente una materia grassa d’importanza pari allo strutto, e formaggi d’ogni tipo assieme alla “pelle del latte”, ossia la panna fino ad allora ignorata, entrarono fra gli ingredienti delle ricette.
Dell’epoca precedente rimasero come eredità gli arrosti, le paste ripiene, le torte, i pasticci in crosta, e gli animali "come vivi" (ricomposti e rivestiti del loro piumaggio) decorati con oro o ricoperti di colori.
Un altro elemento proveniente dal passato, fu l'uso delle salse leggere, a base di frutta o di piante aromatiche, con leganti o addensanti come mollica o pane abbrustolito, farine varie, mandorle o uova.
Nella gastronomia rinascimentale italiana vi fu una grande scelta d’umidi e guazzetti, oltre ad una fioritura straordinaria di paste tirate e farcite, da superare di gran lunga la produzione straniera, che all'opposto non valorizzava la pasta nella propria cucina.
Gli agrumi rimasero elemento aromatizzante basilare, e la frutta acquistò una posizione preminente fra le pietanze servite in apertura del pasto. Verdure, legumi e insalate, godettero di una certa attenzione, acquistando un proprio ruolo, grazie soprattutto al massiccio ricorso agli aromi locali.
In quest'epoca si andò notevolmente rafforzando l'uso della carne macellata, specialmente del manzo e del vitello, e nacque una vera e propria passione per le frattaglie e le interiora degli animali.

Da: Taccuinistorici.it

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