mercoledì 19 dicembre 2012

Il Pandoro



Alcuni studiosi pensano che il pandoro sia nato nella Repubblica Veneta del '500, quando venivano serviti sulle ricche tavole dei nobili dei dolci di forma conica, ricoperti da foglie d'oro, chiamati appunto "Pan de Oro".
Secondo altri,invece, l'origine deriva dal Nadalin, un dolce più antico, a forma di stella, che i veronesi consumavano a Natale.
La tesi però più accreditata lega la nascita del pandoro alla Casa Reale degli Asburgo.
Fin dal '700-'800 erano ben conosciute le tecniche di lavorazione del "Pane di Vienna" che sono rimaste alla base della preparazione del pandoro.
Pane di Vienna", probabilmente derivato, a sua volta, dalla "brioche" francese, d'altra parte però le caratteristiche che accomunano il pandoro e la "brioche" francese fanno pensare ad origini ben più lontane: la fonte più antica risale addirittura al primo secolo dopo Cristo, ai tempi di Plinio il Vecchio, che nei suoi scritti minori cita un panettiere di nome Vergilius Stefanus Senex che preparò un "panis" con fiori di farina, burro e olio.
La lavorazione del"Pane di Vienna" prevedeva di completare l'impasto aggiungendo una maggiore dose di burro con il sistema della pasta sfoglia, dove diversi strati di pasta vengono alternati a strati di burro, con il risultato che durante la cottura il dolce acquista volume.
Dall'Ottocento la produzione del pandoro si perfeziona a Verona a fine '800. 
La sua nascita UFFICIALE risale però al 1800. Il 14 ottobre 1884 Domenico Melegatti, fondatore dell' omonima industria dolciaria, depositò all'ufficio brevetti un dolce morbido e dal caratteristico corpo a forma di stella a otto punte, opera dell'artista Angelo Dall'Oca Bianca, pittore impressionista. 



Avvenimenti importanti del 1884
In Italia viene definitivamente abolita la tassa del macinato, dal governo guidato dal ministro Depretis.
Il 1 maggio, negli Stati Uniti, le organizzazioni dei lavoratori fissano l'obiettivo della giornata lavorativa di 8 ore.
In Gran Bretagna nasce la "Fabian Society", partito di ispirazione socialista. Tra gli aderenti più noti vi sarà George Bernard Shaw.
Formazione del dominio coloniale tedesco in Africa (Camerun, Togo, Africa Sud-Occidentale) e del dominio coloniale francese nel Tonchino che, insieme al Vietnam meridionale, viene posto sotto il governo generale dell'Indocina.
Lewis Waterman realizza la penna stilografica moderna.

Nadalin di Verona, l'antenato del Pandoro



Son tuto un simbolo de Nadal. La stela che nase quasi par miracolo taiando na bala de pasta con quatro sfrisi, el marzapan fato con i pinoi che vien fora dale pigne dela tradizion de Nadal, el zucaro e l’anese stelà che vien doparà par far el liquor.


Il Nadalin, che significa “natalizio”, è un tipico dolce veronese, poco lievitato e non molto alto, cosparso di pinoli e mandorle tostate, che ha la caratteristica forma di Stella.
Il suo aspetto di stella a cinque punte lo collega a molte leggende, che accostano la sua fama sia alla cometa dei Re Magi, sia ai raggi del sole, simbolo di rinascita dopo il buio dell'inverno.
Questo dolce diventò nel 1260 una specialità natalizia veronese detta, appunto, Nadalin con base a forma di stella a otto punte, non molto alto. Il Nadalin fu creato per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei nobili Della Scala a Signori di Verona. Solo nell’ottocento il dolce cambiò forma: venne alzato, le punte ridotte a cinque .

Questo dolce è fatto con ingredienti semplici, burro, uova, zucchero, lievito di birra, succo di limone, un pizzico di sale, vanillina e vino passito, cosparso di pinoli, mandorle tostate e zucchero a velo . La sua particolarità sta nella lenta e accurata lievitazione: la preparazione del Nadalin de Verona è talmente complessa che richiede tre giorni di lavorazione e lievitazione con non meno di quattro reimpasti.
Per questo il risultato è veramente eccellente e inimitabile


Ricetta:
Versare su una spianatoia della farina a fontana e mettervi al centro: burro, zucchero, uova, lievito di birra, succo di limone, sale, vanillina e vino passito. Lavorare accuratamente l’impasto fino a che risulterà liscio ed omogeneo.
Coprire il composto con un panno e lasciarlo lievitare per almeno tre ore in ambiente tiepido.
Adagiare l’impasto in uno stampo profondo a forma di stella e cospargerne la superficie con mandorle tritate o pinoli.
Passare in forno ben caldo per almeno cinquanta minuti.
Una volta sformato, ricoprire il nadalin di zucchero a velo e lasciar raffreddare prima di servire.

lunedì 17 dicembre 2012

DEGUSTAZIONE DELLA TORTA DONIZZETTI

 

GITA A BERGAMO ALTA

Tre donne in auto ( per non parlar del cane....)

 

Sabato 8 dicembre, festa dell'Assunta. Abbiamo deciso di andare oggi a Bergam alta,  per provare la famosa torta Donizzetti. Dovevamo essere in cinque, purtroppo Novella e Gabri non hanno potuto venire. Alla fine il gruppo sarà composto da me, Fulvia, Giuli e, naturalmente, il bravo Kim.
Partiamo da Como nel primo pomeriggio.
Oggi è una giornata invernale limpida e freddissima. Ieri ha nevicato. Mentre salgo in auto ammiro i monti ancora innevati, illuminati da un pallido sole invernale.

Addio/ monti sorgenti dall' acque/ ed elevati al cielo/ cime inuguali/ note a chi è cresciuto tra voi/ e impresse nella sua mente.

In auto parliamo di cose allegre e leggere, è severamente proibito parlare di cose tristi prima di una degustazione. L'autostrada è stranamente sgombra e il viaggio è molto piacevole. Arrivate a Bergamo i vigili non ci lasciano salire alla città alta in macchina. Poco male, l'avevamo previsto. 

 
In città bassa però non si trova posteggio, anche perché c'è la partita dell'Atalanta. Fulvia prova a posteggiare in uno spazio troppo stretto ed un automobilista si affianca e resta a guardare ridendo e facendo gesti. Io vorrei cacciargli la lingua, ma soprassiedo, anche perché Fulvia non riesce a posteggiare e dobbiamo andarcene. Facciamo diverse volte il giro della città finché miracolosamente riusciamo a scovare un posto. Scendiamo allegre e ci dirigiamo verso la funicolare. Purtroppo qui non lasciano passare Kim perché non ha la museruola. Ahimé, proprio oggi Fulvia l'ha dimenticata a casa. Potremmo prendere il bus, ma pensiamo che sia uguale. E' una vera ingiustizia, perché Kim non può mordere: un “padrone” cattivo, quando era piccolo, gli ha rotto la mascella con un calcio... Alla fine dobbiamo lasciarlo in macchina, poverino, con quel freddo! E poi, come si fa a degustare senza Kim? E' lui il vero “gourmet”del gruppo!
Saliamo sulla funicolare che si sta già facendo sera. Ammiro le mura veneziane. Città Alta come la Città Proibita.
Fra una cosa e l'altra arriviamo a Bergamo alta che suonano le cinque. E vabbè, è ancora ora del tè.
Imbocchiamo via Gombito e subito ci torna l'allegria. Saliamo divertite ammirando le case e i bei negozi. Attorno a noi c'è parecchia gente intenta agli acquisti. A metà strada vediamo il bar Cavour, dove abbiamo prenotato la torta, ma decidiamo di proseguire fino a Piazza Vecchia finché c'é ancora un po' di luce. 


Arriviamo alla piazza che il cielo comincia a scurire. Magnifico l'effetto delle illuminazioni natalizie nella piazza. Ci mettiamo al centro e giriamo lo sguardo intorno. Alla mia destra il Palazzo seicentesco della Biblioteca, bianco di marmo, alla mia sinistra il meraviglioso Palazzo della Ragione, medioevale, con la Torre Civica. Davanti e dietro me le luci natalizie decorano le case. Giro su me stessa, guardo il cielo che sta diventando blu: è un effetto straordinario. Mentre ammiriamo la fontana del Colleoni un artista di strada, piuttosto bravo, intona “Te voglio bene assai”. E' una musica davvero commovente e mi si stringe il cuore.
Ci affrettiamo a visitare la basilica di Santa Maria Maggiore prima che diventi troppo tardi. Interno barocco, molto belli i soffitti dipinti. Ammiro le splendide tarsie del coro disegnate da Lorenzo Lotto e l'affresco di Luca Giordano, il passaggio dal Mar Rosso.. Uscendo non trascuriamo la Cappella Colleoni e il Battistero.
Ritorniamo sui nostri passi ed entriamo al bar Cavour, affollatissimo. Bello l'ingresso del bar, in puro stile Liberty, con le lunette affrescate. Chiediamo con trepidazione se la torta prenotata c'è. C'é! Si, che bellezza! Ci fanno strada verso una saletta con il soffitto a volta, ricavata da quello che anticamente doveva essere una cantina o un deposito, e che ora è arredata in modo molto accurato e confortevole. Arriva la torta: bella, una ciambella cosparsa di zucchero a velo da cui sprigiona un profumino invitante. Al primo assaggio ti conquista. Il sapore è delicato, la consistenza è morbida e soffice, non così soffice come la torta Paradiso, che si scioglie in bocca, è anche più umida e consistente. Sentiamo la fecola, le uova, l'aroma del maraschino e il sapore delicato dell'albicocca e dell'ananas candito. Io credo anche di sentire il gusto delle nocciole tritate. Strano, ci saranno davvero? Non tutte le ricette danno questo ingrediente....
C'è infine un giallo: io e Fulvia siamo certe di sentire il gusto delle mandorle. Ci pare che ci sia una parte di farina di mandorle, ma nessuna ricetta ne parla....Purtroppo la torta non è stata fatta nel bar e non c'è modo di sapere se abbiamo torto o ragione. Sarà per la prossima volta.


Voto unanime: 10


e bis di torta!

Mentre gustiamo la seconda fetta Fulvia si esercita fare fotografie.

Usciamo che è buio e i negozi sono tutti illuminati. Le strade sono ancora affollate di persone.
Proseguiamo per via Colleoni, incuriosite da tutte le vetrine.In via Mascheroni ci fermiamo ad ammirare lo stile rinascimentale di Palazzo Roncalli e i bei palazzi attorno. Ed eccoci infine nella Cittadella, con la sua  suggestiva piazza e il Palazzo Visconteo. E' veramente bellissimo. Usciamo verso Colle Aperto. Da qui possiamo osservare i bellissimi palazzi che circondano la città alta e, in basso, il panorama di Bergamo. Lo stadio è illuminato a giorno per la partita. Mentre guardiamo sentiamo il boato del gol dell'Atalanta. Siamo molto felici per la vittoria della nostra città ospite!
La visita è finita. Un po' a malincuore prendiamo posto sulla funicolare, affollatissima. Quasi di corsa ritorniamo dal nostro Kim, che ci riempie di feste e di scodinzoli.
Bellissima gita, bella giornata e BUONISSIMA TORTA!

Alla prossima.


TORTA DONIZZETTI

Poche le notizie storiche su questo delicatissimo dolce di origine bergamasca.


Ha la forma a ciambella ed è spolverata con dello zucchero a velo.
Probabilmente derivato dal Bussolà di Brescia , appartiene alla categoria dei dolci soffici non lievitati, composti in prevalenzq da burro, zucchero e uova,  tipo la torta Paradiso di Pavia
Ingredienti:
Burro anidro 125 gr
zucchero a velo 95 gr
nocciole tostate in polvere 30 gr
tuorli 45 gr
albume 38 gr
zucchero 8 gr
farina 00  gr 50
fecola di patate  gr 50
miele gr 5
maraschino gr 13
albicocche e ananas canditi 50 gr
 
Si prepara come una normale ciambella, lavorando il burro con lo zucchero. 
Aggiungete i tuorli e amalgamate bene.
Montate a neve gli albumi con zucchero e incorporateli lentamente al composto precedente.
Infine, aggiungetevi gradatamente farina, fecola, i canditi di albicocca e ananas, aromatizzando con maraschino e vaniglia.
Imburrate uno stampo per ciambella e versatevi l'impasto.
Passare in forno.
Fate raffreddare la torta e servitela spolverizzata con zucchero a velo. 

Scarse le notizie storiche su questa torta. Si sa solo che essa è dedicata al celebre compositore bergamasco Gaetano Donizzetti, morto nel 1848. Si presume, quindi, che questa torta sia stata inventata dopo la metà del 1800, ma tutto può essere.

Donizetti nacque a Bergamo il 29 novembre 1797 da una famiglia di umili condizioni. Quinto di sei figli, rivelò ben presto una grande attitudine alla musica e nel 1806 venne ammesso alle "Lezioni caritatevoli di musica" dirette e fondate da Simone Mayr, con lo scopo di poter preparare i bambini per il coro e impartire loro delle solide basi musicali. Fu Mayr che, intuite le potenzialità del ragazzo, decise di seguire personalmente la sua istruzione musicale in clavicembalo e composizione. Nel 1830 Donizzetti raggiunse fama e successo con l'opera lirica “ Anna Bolena”. Scrisse in totale 69 opere liriche e inoltre brani di musica sacra e da camera. 
Morì, dopo una vita travagliata, nel 1848. Ci ha lasciato capolavori assoluti come L'elisir d'amore, Lucia di Lammermoor e Don Pasquale. Donizzetti scrisse l’imbandigione della tavola in diverse opere, ma i suoi spunti culinari furono influenzati sia della povertà sofferta in gioventù che dalla fretta espressiva.
Tra i vari aneddoti che lo riguardano, c’è n’è uno che lo vedrebbe seduto a tavola con Rossini.
Il pesarese, constatando le profonde amarezze sentimentali del suo ospite bergamasco, avrebbe  consigliato al cuoco di preparare una ricetta semplice, veloce ma dolce. Si dice che la torta incontrò i favori dei musicisti, tanto da meritare di essere dedicata proprio a Donizetti. Naturalmente questa, come tutte le leggende dedicate ai dolci, è pura invenzione.

venerdì 7 dicembre 2012

Ancora Conventi

Non solo in Sicilia, ma ovunque, nel resto d'Italia e in europa, si sviluppa l'usanza di vendere dolciumi e preparati alimentari nei conventi, dove solitamente la materia prima non mancava.
La pasticceria dei conventi, ad es., è sempre stata famosissima in Spagna: ricordiamo le prime ricette della cioccolata, elaborata proprio dai monaci spagnoli.
Tra i dolci dei conventi spagnoli più famosi vi sono le yemas di Avila, dolcetti a base di uova e zucchero del monastero di Santa Teresa ad Avila, i dolci confezionati dalla suore Clarisse, le yemas di San Leandro, a Siviglia, e i dolci della Concepciòn, del convento di Santa Clara ad Alcazàr de San Juan (Càceres).
Ancora oggi sono molti i dolci che vengono commercializzati fuori dai monasteri o il cui nome prende spunto dalla vita religiosa. Huesos de santos sono pasticcini di marzapane, gli alfajores sono antichissimi dolci di frutta secca miele e spezie, i polvorones sono dolci a base di mandorle tritate e, tipici del Natale, i matecados sono a base di farina, strutto, uova e zucchero. A Madrid, nel mese di dicembre, si svolge una fiera annuale dei prodotti di pasticceria tipici dei conventi di clausura.
Chiunque abbia visitato il Portogallo ne avrà probabilmente riportato il ricordo dei  pastéis de nata, venduti oggi nell'omonima pasteleria e la cui ricetta è nata nel vicino e magnifico monastero dos Jerònimos.
Ma di dolci, in Portogallo, ce ne sono tanti, e curiosi., proprio come i pastéis di Belém, che nascono dalle sapienti mani delle monache nei tanti e splendidi conventi del paese, e da là si diffondono.
Dolci semplici ma sorprendenti, quasi sempre a base di uova, tante uova, talvolta quasi solo uova, anzi tuorli; e pochi altri ingredienti, mandorle, cannella, scorza d'agrumi, occasionalmente latte, panna o formaggio, e molto zucchero, di solito sotto forma di sciroppo. Si dice che l'overdose di tuorli derivi dal fatto che nelle lavanderie dei conventi si faceva dispendio di albumi perché si usavano per inamidare i tessuti. Come che sia, da questo giallo profluvio derivano pasticcini, budini e dolcetti che, prima venduti direttamente nei conventi, si sono poi "laicizzati" diventando partimonio comune dei tanti forni e delle tante pasticcerie del paese. E non è un caso che molti di questi dessert hanno nomi che evocano il cielo, il paradiso, gli angeli.
Basti pensare che uno dei più celebri gastronomi e autori di ricette portoghesi era un abate: Manuel Joaquim Machado Rebelo, meglio noto come Abade de Priscos, vissuto tra il XIX e il XX secolo e creatore del Pudim "Abade de Priscos", il budino che porta il suo nome, a base di tuorli e sciroppo di zucchero, aromatizzato con cannella e Porto. I papos de anjo (lett. gozzi o chiacchiere d'angelo),  la cui ricetta sembra risalire al 1300-1400, sono davvero singolari: i tuorli vengono semplicemente montati e poi messi in formine circolari e infornati. Una volta cotti, vengono immersi in uno sciroppo di acqua, zucchero e vaniglia e lasciati intridere. Gli ovos moles di Aveiro sono un composto di uova e zucchero usato per farcire delle sottili sfoglie a forma di conchiglia.
Famosissime, e veramente deliziose, le queijadas de Sintra, tartellette dalla pasta sottile ripiena di una crema di formaggio fresco con uova, zucchero e cannella. La loro è una lunga storia che ci riporta almeno al XIII secolo. Notevoli anche i dolci conventuali dell' Alentejo, come l'encharcada del convento di Santa Clara, a base, neanche a dirlo, di tuorli, sciroppo di zucchero e cannella, ma prodotta in tutta la regione con alcune varianti; il fidalgo, con ingredienti analoghi ma leggermente bruciacchiato, come una crème brûlée, una volta sfornato, e il sericaia o sericà, una sorta di torta con tuorli e albumi montati, latte, farina, cannella e scorza di limone.
In Francia si dice che siano state le suore della Visitazione di S.Marie a Niort a iniziare la produzione dell'angelica candita. Dalla Bretagna, paese del burro salato, nasce la ricetta del caramello al burro salato con mandorle noci e nocciole. Dalle monache di Provenza, invece, nasce la tradizione dei frutti canditi di Apt, pare che la produzione sia iniziata proprio in concomitanza col soggiorno dei Papi ad Avignone. Sempre legata alla Provenza, viene da Aix l' usanza del calisson, un dolce di pane azimo con un cuore morbido di mandorle e melone candito, che veniva distribuito all'inizio del sec. XVII al posto delle ostie, durante la comunione, per evitare le epidemie ( !).
L'anice di Flavigny è una caramellina di zucchero con un seme di anice nel suo interno. Ne dobbiamo l'invenzione alle suore Orsoline che, nel XVII sec. iniziarono a dedicarsi alla preparazione dell'anice candito.
Fu creata invece dalle suore di Orléans la prelibatissima cotognata, pasta di mele cotogne, sempre presente sulle tavole di re e principi.
Vengono invece dall'Austria la "Originale Benediktiner-Torte" di St. Göttweig, ancor oggi preparata secondo un'antica ricetta risalente al 1401,  i cornetti del convento di Klostergipfel, biscotti a base di cioccolato e noci, e i deliziosi dolcetti "Lebkuchen".

Non solo dolciumi, ma prodotti alimentari in genere vengono dai conventi del nord dell'Europa. Famosissimo il liquore prodotto dai monaci certosini di Chartreuse, in Francia, nelle due versioni "Gialla" e "Verde".
Nei monasteri di Belgio e Olanda si producono ancora oggi ottime birre. Distillati di frutta, pane dei canonici di San Florian, salsiccia di cervo di St. Lambrecht o liquore di farro dell'abbazia di Zwettl provengono dai conventi austriaci.
Ovunque, inoltre, si producono ancora miele, marmellate e distillati.
 

martedì 4 dicembre 2012

Dolci dei Monasteri Palermitani

 A Palermo, ogni monastero aveva la sua specialità.
I Cannoli più rinomati venivano preparati al monastero delle suore di Santa Maria di Oliveto, detto Badia Nuova. Oltre ai cannoli, per Carnevale si confezionavano le " Teste di Turco" al cioccolato e, nel periodo pasquale, le famosissime Cassatelle e i "Pupi cu l'Ova", un impasto decorato con confettini colorati in cui si inseriva, tradizionalmente, un uovo sodo.


Il monastero di Santa Elisabetta era noto per le Ravezzate, dolci fritti ripieni di ricotta. Per Natale si confezionavano, invece, i tipici Nucatoli, dolci a base di noci.
Dietro alla Cattedrale, in piazza Settangeli esisteva, fino al 1860, l'omonimo monastero, rinomato per i "Pantofoli", un impasto di farina, zucchero e mandorle aromatizzato con miele, succo d'arancia e cannella.


Per la ricorrenza dei defunti si confezionavano "l'Ossa di Mortu", biscotti ovviamente a forma di ossa e scheletri.

Nel periodo pasquale era uso mangiare la Cassata, la più celebre e prelibata era quella delle monache di Valverde.
Il miglior "Pan di Spagna"? Quello delle suore domenicane al Convento del Monte di Pietà, in via Alloro!

Dolci curiosi erano le "Feddi di Cancillieri" (dolcetti di pasta mandorla ripieno di crema e marmellata di albicocche), dove per "feddi" erano intese le natiche. Un nome che di potrebbe tradurre in " Culo del Cancelliere", dove in realtà il povero cancelliere di cui si gustavano le natiche era il buon benefattore Matteo Ajello, cancelliere di Guglielmo II, che nel XII sec. fondò il monastero delle monache benedettine, un tempo situato dietro il Palazzo Belmonte Riso ( oggi distrutto dai bombardamenti dell' ultima guerra).
Che in un monastero si producessero dolci tanto licenziosi non deve far pensar male: la tradizione vuole che questi dolci derivino da antiche usanze pagane che riproducevano il sesso femminile, probabilmente un' offerta votiva alla dea della fertilità.
Così pure legati ad antichi rituali pagani erano le "Minne di Vergini", notissimo dolce a forma di mammella, con l'aggiunta di una maliziosa ciliegina candita a fare da capezzolo. Questo pasticcino squisito era la specialità delle suore del monastero di S.Maria delle Vergini, che si divertivano a scherzare sul nome della badia.

Famosissima la pasta reale, o pasta di mandorle, delle suore del convento di Martorana, con cui si preparavano i famosi frutti, regalati ai bambini al 2 novembre, oppure le pecorelle pasquali.
Frumento ammollato e lessato, unito ad una crema di ricotta e canditi, era la celebre "Cuccia", dolce tradizionale del giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, e a farlo erano le suore del Conservatorio di S. Lucia.


Nella badia della Concezione si confezionavano invece i " Moscardini", biscotti a forma di dito, aromatizzati con cannella, che si consumavano per i festeggiamenti di Santa Rosalia.


Le suore del monastero delle Stimmate producevano invece le "Sfince", specie di tortelli fritti nell'olio, semplici o anche con farcitura di crema di uova e panna.



Da Panormus.it






lunedì 3 dicembre 2012

Dolci dei Monasteri Siciliani

 Il ruolo svolto dai monasteri femminili nello sviluppo dell’arte dolciaria – naturalmente non solo di quella siciliana - è stato di fondamentale importanza. Dal XV al XIX secolo, prima della nascita delle vere e proprie pasticcerie, i principali dolci che si preparavano nel territorio dove sorgevano i monasteri sono stati quasi tutti presi in rassegna e molto spesso rielaborati dalla competenza e dalle abili mani delle suore. Le quali, a volte, spinte dal desiderio di conquistare la meraviglia e la gratitudine delle personalità destinatarie delle loro prelibatezze, cominciarono a creare anche dei prodotti completamente nuovi. Infatti, la consuetudine di preparare dolci all’interno dei conventi femminili era nata dall’esigenza delle suore di contraccambiare in maniera elegante e significativa favori e i servizi ricevuti, solo molto più tardi diventerà un'attività commerciale. I beneficiari delle loro specialità erano vescovi e prelati della zona di appartenenza; confessori personali; medici e professionisti con i quali molto spesso dovevano - malgrado la clausura - entrare in contatto. I dolci, con i loro simboli rituali e il forte legame con il calendario liturgico, costituivano sempre i migliori regali che le monache potessero fare ai loro benefattori. E poi, considerato il costo proibitivo dello zucchero e delle materie prime che occorrevano, i dolci dei conventi avevano all’epoca un valore ancora più prezioso. Le suore pasticcere erano quasi tutte figlie cadette di famiglie nobiliari e benestanti che a causa dell’imperante principio del maggiorascato erano state costrette a prendere i voti. A differenza dei fratelli minori che avevano la facoltà di intraprendere oltre alla scelta monastica – non di clausura! – anche la carriera militare, per loro esisteva solo la violenta sistemazione nei conventi. Quindi, per la maggior parte delle suore, praticare l’arte dolciaria rappresentava l’unica forma di libertà dentro le rigide regole della vita monastica. Gli ambienti della cucina all’interno dei monasteri femminili riservati e attrezzati per la produzione dolciaria, sono, quindi, i primi veri e propri laboratori di pasticceria della storia. La specializzazione dolciaria all’interno dei monasteri femminili segna quindi l’inizio della cosiddetta pasticceria moderna: il dolce, oltre a soddisfare il palato, tenta adesso di sedurre anche la vista e la fantasia. Rispetto ai dolcieri del passato, le monache pasticcere iniziano a prestare molta attenzione anche alla forma e all’estetica, decorando in maniera artistica con glassa e frutti canditi ogni dettaglio dei propri dolci. Siamo anche storicamente nel cuore della svolta epocale della pasticceria: infatti, dopo la seconda metà del 1400, l’impiego dello zucchero ha preso il sopravvento sul miele diventando l’ingrediente principale delle vecchie e nuove specialità dolciarie, e la Sicilia, come abbiamo già visto, è la prima produttrice di zucchero del territorio nazionale. Con il trascorrere del tempo e il mutare della società, la produzione dolciaria dei monasteri femminili, nata come semplice diletto e fabbisogno personale, diventa anche attività commerciale, e cambia anche l'organizzazione dei conventi, per adeguarsi alle nuove esigenze. I dolci venivano serviti al pubblico tramite un' apposita ruota. I dolci, pagati in anticipo per mezzo di una paletta spinta fuori dalle grate, venivano ordinati e preparati quasi istantaneamente, anche perchè ogni convento aveva le sue specialità, che venivano confezionate in occasione delle feste. Per far fronte alla mole di lavoro pesante che si è venuto a creare, come accendere i forni, pulire le teglie, impastare e preparare le materie prime, si fanno entrare le cosidette "converse" o suore laiche, non legate da voti religiosi.
L'affermazione dei monasteri siciliani, e la relativa produzione dolciaria, continuerà in sicilia fino alla seconda metà dell'Ottocento, quando lo Stato Italiano esproprierà i beni ecclesiastici. A sopravvivere, dopo l’unità d’Italia, grazie a particolari situazioni burocratiche ed ereditarie, saranno pochi conventi.
Da duciezio.it